STALKING CONDOMINIALE

Tutti noi conosciamo il tristemente noto reato di stalking, più precisamente definito dall’art. 612-bis - norma del codice penale che lo prevede e punisce con la reclusione da uno a sei anni - “atti persecutori”, introdotto dal nostro legislatore nel 2009 e venuto alla ribalta a causa degli innumerevoli femminicidi di cui la cronaca spesso ci informa.

Ciò che è meno noto è che la medesima condotta che integra il suddetto reato ben può configurarsi non solo nell’ambito di relazioni affettive bensì anche in un altro settore potenzialmente molto “conflittuale”, ovverosia quello condominiale.

Tale fattispecie di reato, riconosciuta già nel 2011 e confermata dalla giurisprudenza nel corso degli anni (ex plurimis cfr. Cass. pen. n. 26878/2016), prevede la penale responsabilità di chi, nel contesto condominiale, minacci o molesti taluno, in modo da cagionare un suo perdurante stato di paura o di ansia o un suo fondato timore di pericolo per l'incolumità propria o di persone prossime o la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita, con condotte reiterate che, si badi bene, non devono necessariamente protrarsi per lungo tempo, essendo sufficienti due soli fatti criminosi per integrare il reato, come recentemente affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. pen. n. 28340/2019).

A titolo esemplificativo, gli atti persecutori possono consistere in:

  • spiare continuamente dalle finestre;
  • suonare musica a volume molto alto durante la notte;
  • bussare alle pareti;
  • schernire, insultare e/o minacciare;
  • lasciare scritti offensivi sulla porta e/o nella cassetta della posta ecc.
  • Come sopra menzionato, tali atti devono cagionare nella vittima uno stato d’ansia e di paura tali per cui la stessa sia portata a modificare il proprio stile di vita, temendo per l’incolumità propria e/o di persone prossime, per esempio, in concreto,:

  • ispezionando gli spazi comuni dello stabile prima di uscire dalla propria abitazione;
  • non uscendo mai da sola;
  • limitando la propria vita sociale;
  • assumendo psicofarmaci (tranquillanti, etc.);
  • assentandosi continuamente dal posto di lavoro per stati d’ansia.
  • Il reato in commento presenta alcune peculiarità, tra cui un termine particolarmente lungo per sporgere denuncia-querela (sei mesi anziché gli “ordinari” tre mesi), la rimettibilità della predetta denuncia-querela solo davanti al Giudice (anche se la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 2301/2015, ha chiarito che debba intendersi tale anche quella resa dinanzi ad un ufficiale di polizia giudiziaria) e l’irrevocabilità della querela nei casi più gravi, a speciale tutela delle vittime di questo odioso delitto.

    Peraltro, se, di norma, tale fattispecie criminosa è punibile solo a querela della persona offesa (la vittima), essa è procedibile d’ufficio – ovverosia a prescindere da tale querela - nei casi ritenuti più esecrabili ed in particolare se il fatto è commesso a danno di un minore o di una persona disabile, e negli stessi casi, oltre ad altri in cui il reato è consumato con particolari modalità quali con l’uso di armi o sistemi informatici, sono previsti significativi aumenti di pena.

    Inoltre, in considerazione del fatto che spesso gli atti persecutori vengono posti in essere alla sola presenza della vittima, senza che questa abbia la possibilità di procurarsi “prove” in merito, la giurisprudenza ha ritenuto che, una volta verificata l’attendibilità della persona offesa e del suo racconto, essa sola sia sufficiente ai fini della condanna del reo.

    Si può, quindi, concludere che il diritto di vivere in tranquillità in un contesto di vicinato trovi quale più incisiva forma di tutela nel nostro ordinamento la disciplina in commento, che finalmente riconosce la penale responsabilità di tutti coloro che perpetrano minacce e molestie di una certa entità in ambito condominiale.

     

    © Studio Legale Basilico Venturini | 05 May, 2020